Avv. G. Lore
04-01-2011, 10:23
Nella cartella esattoriale deve essere indicata in modo dettagliato la modalità di determinazione degli interessi, in modo che il contribuente abbia realmente la possibilità di verificare i calcoli effettuati dall’Agente della Riscossione.
Ciò è quanto emerge da una recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce (sentenza n. 206/02/10), la quale evidenzia la mancanza di trasparenza delle cartelle esattoriali.
Proprio in merito a tale aspetto, i Giudici di Lecce chiariscono che “Il contenuto della cartella non consente di poter operare qualsivoglia controllo dell’operato della Amministrazione Finanziaria. Non vi è dunque trasparenza dell’operato dell’Ufficio in violazione del diritto di difesa del contribuente. Ne segue che gli importi iscritti a ruolo potrebbero essere probabili ma non anche certi e dovuti”.
Ne deriva, pertanto, che solo un atto trasparente e facilmente leggibile (e controllabile) da parte del contribuente può rispettare i canoni di un atto legittimo, in quanto non crea alcun dubbio in merito alle somme richieste.
Infatti, proprio relativamente a questo aspetto i Giudici chiariscono che “A ben osservare, l’art. 12, comma 3 (l’ammontare dell’imposta dovuta nonché quello degli interessi, delle soprattasse e delle pene pecuniarie) e l’art. 25 nonché la ratio dell’abrogato art. 17 del D.P.R. n. 602/73 consente l’iscrizione a ruolo dell’importo dovuto e non anche di somme non dovute” e ancora si evidenzia che “Nel caso di specie l’Amministrazione Finanziaria aveva dunque l’obbligo di provare la legittimità del proprio operato in tema di interessi, esternando l’iter seguito nella determinazione degli stessi” (pagina 5 della sentenza).
Alla luce di quanto illustrato, dunque, per i Giudici di prime cure non esiste una presunzione di legittimità delle somme pretese dall’Ufficio, il quale è tenuto a provare la correttezza delle proprie pretese come un qualunque creditore.
Viene dunque accolta l’eccezione del contribuente, secondo il quale il comportamento adottato dall’Agente della Riscossione determina una grave lesione del diritto di difesa poiché “il contenuto della cartella non consente di operare alcun controllo”.
Oltre a quanto chiarito in sentenza, poi, si tiene ad evidenziare un ulteriore aspetto.
È importante sottolineare, infatti, che gli errori legati al calcolo degli interessi si ripercuotono anche sul calcolo dei compensi di riscossione (cd. aggio) che, come è noto, sono quantificati in base alle singole componenti del credito tributario (interessi compresi).
Appare lampante, quindi, come venga a mancare la certezza delle somme richieste dal Concessionario.
Mancando, dunque, il requisito della trasparenza e della certezza, si ritiene che ne derivi la caducazione del titolo esecutivo (non più certo, liquido ed esigibile) “che può essere rilevata anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio ed anche per la prima volta nel giudizio di cassazione, trattandosi di presupposto dell’azione esecutiva” (sent. Cassaz., sez. III, nr. 9293/2001).
Ciò è quanto emerge da una recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce (sentenza n. 206/02/10), la quale evidenzia la mancanza di trasparenza delle cartelle esattoriali.
Proprio in merito a tale aspetto, i Giudici di Lecce chiariscono che “Il contenuto della cartella non consente di poter operare qualsivoglia controllo dell’operato della Amministrazione Finanziaria. Non vi è dunque trasparenza dell’operato dell’Ufficio in violazione del diritto di difesa del contribuente. Ne segue che gli importi iscritti a ruolo potrebbero essere probabili ma non anche certi e dovuti”.
Ne deriva, pertanto, che solo un atto trasparente e facilmente leggibile (e controllabile) da parte del contribuente può rispettare i canoni di un atto legittimo, in quanto non crea alcun dubbio in merito alle somme richieste.
Infatti, proprio relativamente a questo aspetto i Giudici chiariscono che “A ben osservare, l’art. 12, comma 3 (l’ammontare dell’imposta dovuta nonché quello degli interessi, delle soprattasse e delle pene pecuniarie) e l’art. 25 nonché la ratio dell’abrogato art. 17 del D.P.R. n. 602/73 consente l’iscrizione a ruolo dell’importo dovuto e non anche di somme non dovute” e ancora si evidenzia che “Nel caso di specie l’Amministrazione Finanziaria aveva dunque l’obbligo di provare la legittimità del proprio operato in tema di interessi, esternando l’iter seguito nella determinazione degli stessi” (pagina 5 della sentenza).
Alla luce di quanto illustrato, dunque, per i Giudici di prime cure non esiste una presunzione di legittimità delle somme pretese dall’Ufficio, il quale è tenuto a provare la correttezza delle proprie pretese come un qualunque creditore.
Viene dunque accolta l’eccezione del contribuente, secondo il quale il comportamento adottato dall’Agente della Riscossione determina una grave lesione del diritto di difesa poiché “il contenuto della cartella non consente di operare alcun controllo”.
Oltre a quanto chiarito in sentenza, poi, si tiene ad evidenziare un ulteriore aspetto.
È importante sottolineare, infatti, che gli errori legati al calcolo degli interessi si ripercuotono anche sul calcolo dei compensi di riscossione (cd. aggio) che, come è noto, sono quantificati in base alle singole componenti del credito tributario (interessi compresi).
Appare lampante, quindi, come venga a mancare la certezza delle somme richieste dal Concessionario.
Mancando, dunque, il requisito della trasparenza e della certezza, si ritiene che ne derivi la caducazione del titolo esecutivo (non più certo, liquido ed esigibile) “che può essere rilevata anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio ed anche per la prima volta nel giudizio di cassazione, trattandosi di presupposto dell’azione esecutiva” (sent. Cassaz., sez. III, nr. 9293/2001).