Avv. G. Lore
14-05-2013, 14:34
Ai fini dell'accertamento dello stato di ebbrezza è necessaria la certezza "oltre ogni ragionevole dubbio". E' quanto emerge dalla sentenza 23 aprile 2013, n. 18375 della Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione.
A seguito di una condanna per guida in stato di ebbrezza, i giudici del merito ascrivevano all'imputato la commissione del fatto più grave disciplinato dall'art. 186, comma 2, lett. c), nonostante l'accertamento strumentale fosse stato condotto con una sola misurazione (quindi senza la prescritta ripetizione della stessa). Da ciò il ricorso per Cassazione, in quanto la sentenza avrebbe riportato una mera indicazione generica degli indici sintomatici riportati nel verbale dell'unico accertamento effettuato dalla polizia giudiziaria.
Secondo l'orientamento dominante di legittimità, fatto proprio anche dagli ermellini, "per la configurazione del reato di guida in stato di ebbrezza, pur potendo accertarsi lo stato di alterazione con qualsiasi mezzo, e quindi anche su base sintomatica, è tuttavia necessario ravvisare l'ipotesi più lieve, priva di rilievo penale, quando, pur risultando accertato il superamento della soglia minima, non sia possibile affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la condotta dell'agente rientri nell'ambito di una delle altre due ipotesi che conservano rilievo penale".
Nella fattispecie, il generico richiamo operato nella sentenza impugnata agli indici sintomatici riportati nel verbale di accertamento redatto dalla polizia giudiziaria, appare tale da non fornire una dimostrazione sufficientemente adeguata al fine di ritenere, oltre ogni ragionevole dubbio, che la condotta dell'agente si prestasse a un inquadramento nell'ambito di una delle due ipotesi di cui all'art. 186 cod. strad. ancora configurate come penalmente rilevanti.
Secondo la Suprema Corte: “L'indole eminentemente apodittica della motivazione così come redatta nel provvedimento qui impugnato impone di riscontrarne il carattere sostanzialmente illogico, da tanto derivando il necessario annullamento della ridetta sentenza, con rinvio alla corte d'appello milanese per un nuovo esame sul punto indicato”.
A seguito di una condanna per guida in stato di ebbrezza, i giudici del merito ascrivevano all'imputato la commissione del fatto più grave disciplinato dall'art. 186, comma 2, lett. c), nonostante l'accertamento strumentale fosse stato condotto con una sola misurazione (quindi senza la prescritta ripetizione della stessa). Da ciò il ricorso per Cassazione, in quanto la sentenza avrebbe riportato una mera indicazione generica degli indici sintomatici riportati nel verbale dell'unico accertamento effettuato dalla polizia giudiziaria.
Secondo l'orientamento dominante di legittimità, fatto proprio anche dagli ermellini, "per la configurazione del reato di guida in stato di ebbrezza, pur potendo accertarsi lo stato di alterazione con qualsiasi mezzo, e quindi anche su base sintomatica, è tuttavia necessario ravvisare l'ipotesi più lieve, priva di rilievo penale, quando, pur risultando accertato il superamento della soglia minima, non sia possibile affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la condotta dell'agente rientri nell'ambito di una delle altre due ipotesi che conservano rilievo penale".
Nella fattispecie, il generico richiamo operato nella sentenza impugnata agli indici sintomatici riportati nel verbale di accertamento redatto dalla polizia giudiziaria, appare tale da non fornire una dimostrazione sufficientemente adeguata al fine di ritenere, oltre ogni ragionevole dubbio, che la condotta dell'agente si prestasse a un inquadramento nell'ambito di una delle due ipotesi di cui all'art. 186 cod. strad. ancora configurate come penalmente rilevanti.
Secondo la Suprema Corte: “L'indole eminentemente apodittica della motivazione così come redatta nel provvedimento qui impugnato impone di riscontrarne il carattere sostanzialmente illogico, da tanto derivando il necessario annullamento della ridetta sentenza, con rinvio alla corte d'appello milanese per un nuovo esame sul punto indicato”.